Museo Grande Guerra 1915 - 1918

Canove Comune di Roana Altopiano di Asiago

Presidenza e Segreteria

Vittorio Magnabosco (Presidente)

Maurizio Mosele       (Vice Presidente)

Germano Bau          (Segretario)

Orari e Biglietti

Orari

Orario di apertura del Museo dal 15 Giugno al 15 Settembre:
dalle ore 10.00 alle ore 12.00
dalle ore 15.00 alle ore 19.00

Il resto dell'anno le visite saranno possibili esclusivamente su prenotazione chiamando il numero 347.7370979

Biglietti

Intero - € 7.00
Ridotto (7-14 e over 65) - € 5.00
Scuole e gruppi (min. 15 persone)  - € 3.00
Ragazzi fino a 6 anni - ESENTI

                                                                        

Appassionati, no profit, collaboriamo con il Museo, noi del Centro Ricerche Grande Guerra  

Giampaolo Marchetti 

Giancarlo Albertin      

Claudio Pio Cassia

Coordinatori

Luogotenente Domenico Sartorio

Luogotenente Giorgio Ercolin

Segretari

Fabrizio Comunian  

Stefano Andreotti 

Responsabile Organizzativo 

Roberto Dalla Villa

FAQ

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BENVENUTO AMANTE DELLA STORIA

 

 

museo

La situazione economica e bancaria in Italia, dalla fine del XIX secolo allo scoppio del I°conflitto mondiale

La situazione economica e bancaria in Italia, dalla fine del XIX secolo allo scoppio del I°conflitto mondiale.

Sul finire del diciannovesimo secolo, l'Italia era economicamente molto arretrata rispetto ai maggiori paesi europei. Il meridione e le Tre Venezie erano ancora prettamente agricoli, mentre al nord l'industria si imponeva con molta fatica solo nel cosiddetto "GEMITO", ovvero il triangolo compreso tra le città di Genova, Milano e Torino.

Le baronie agrarie del sud e la borghesia imprenditoriale del nord avevano trovato in quegli anni un comune accordo sostenendo il governo di Crispi che si era distinto per la sua politica protezionistica nei confronti del ceto industriale e per la sua violenza e la sua ferocia soprattutto nei confronti degli strati più poveri della società. Esisteva in realtà in Italia una borghesia imprenditoriale e professionale di idee sinceramente liberali ed aperta ad idee più democratiche e "moderne", ma questa era stata tacitata politicamente in malo modo, poiché il Crispi non era politicamente capace di comprendere le ragioni profonde e gli aspetti positivi delle rivendicazioni operaie e contadine e vedeva in esse una congiura contro lo Stato.
A dimostrazione di quanto detto, nella primavera del 1898 una serie di tumulti popolari scossero l'Italia a causa di un ulteriore aumento del prezzo del pane. Nel maggio di quell'anno, a Milano, scaturì una sommossa tra gli operai della fabbrica Pirelli, che avevano autoproclamato uno sciopero generale, e la forza pubblica. Fu richiesto l'intervento delle truppe militari comandate dal Generale Bava-Beccaris, che prima ordinò il fuoco delle artiglierie ad alzo zero contro le barricate erette dagli operai e poi, non contento, scatenò la cavalleria a filo di spada, provocando un centinaio di morti ed uno svariato numero di feriti. Per ricompensa l'alto ufficiale ricevette dal re Umberto I anche un'alta onorificenza.
La dimostrazione più valida della crisi che affliggeva l'Italia in questa fine secolo è sicuramente quella denunciata dal Giolitti nel suo discorso del 29 ottobre 1899:
"In Italia, paese dai salati bassissimi, i generi di prima necessità sono tassati più che in qualsiasi altro paese nel mondo; il complesso delle imposte è giunto a tale altezza da costituire talora una vera confisca di proprietà; le imposte colpiscono più gravemente i poveri che i ricchi; ...la giustizia... è lenta, costosissima e senza sufficienti garanzie; ...abbiamo un vergognoso primato nella delinquenza comune; l'istruzione elementare è insufficiente, la secondaria e la universitaria così organizzate da costituire vere fabbriche di spostati... E' urgente che il governo ed i partiti costituzionali si persuadano che il paese non presta più fede alcuna alle promesse, e che solamente con un'energica azione, con un radicale mutamento d'indirizzo, si può riacquistare la fiducia delle popolazioni. ...Da noi si confonde la forza del governo con la violenza, e si considera governo forte quello che... proclama lo stato d'assedio, sospendendo la giustizia ordinaria... e calpesta tutte le franchigie costituzionali. Questa non è forza, ma è debolezza della peggiore specie..."
In questo clima non proprio idilliaco, Umberto I fu ucciso il 29 luglio 1900 ad opera dell'anarchico Gaetano Bresci. Giolitti divenne presidente del consiglio nell'autunno del 1903. Il lavoro che lo aspettava era enorme.

Il prodotto pro capite era meno della metà di quello inglese e poco più della metà di quello francese. I ceti più poveri della società italiana trovavano scampo alla miseria soltanto attraverso l'emigrazione che, infatti, tra la fine del XIX e l'inizio del XX secolo raggiunge il proprio acme. Dal 1901 allo scoppio della guerra espatriano nove milioni di italiani, nella sola New York sono oltre 1.120.000.
E le Banche?
Il sistema bancario italiano era composto soprattutto Casse di Risparmio, Banche Popolari e cooperative che raccoglievano la stragrande maggioranza dei depositi e poche banche di emissione, retaggio ancora dei vecchi staterelli in cui era suddivisa la penisola prima dell'unificazione.
La lira italiana nasceva come moneta unica per lo Stato nel 1862 grazie alla legge Pepoli, ma vi furono subito i limiti di una circolazione cartacea spezzettata, dato che quasi tutti gli istituti emittenti operanti nei vecchi Stati mantennero la facoltà di stampare biglietti di banca nel nuovo regno.
Gli istituti emittenti cartamoneta erano al nord la Banca Nazionale del Regno d'Italia, al centro la Banca Nazionale Toscana e la Banca degli Stati Pontifici o più semplicemente Banca Romana, e al sud il Banco di Napoli ed il Banco di Sicilia.
Non si realizzò dunque subito una unificazione del potere di emissione di cartamoneta, soprattutto per la forza che ancora sussisteva degli interessi regionali che non volevano privarsi di tale potere. Data la scarsa diffusione dei depositi bancari, la fonte principale di risorse per effettuare il credito bancario era costituita proprio dall'emissione di biglietti: in pratica accettando i biglietti di banca, il pubblico faceva credito agli istituti di emissione e questi potevano così fare credito

ai propri clienti
Nel panorama economico italiano non mancavano inoltre altri istituti di grande o grandissimo peso come ad esempio il Banco di Santo Spirito, Il Monte dei Paschi di Siena, la Cassa di Risparmio delle Province Lombarde (CARIPLO) fondata nel 1823, la Banca Popolare di Milano (1865), La Banca Popolare di Novara (1872), la Banca Commerciale Italiana (1894) ed il Credito Italiano (1895).
Quando i tempi furono giudicati maturi, nel 1893 vi fu la nascita della Banca d'Italia, vennero così aboliti prima diritti di emissione e poi molti istituti di credito vennero trasformati in banche "miste", in banche cioè che emettevano crediti sia a medio sia a breve termine. Sotto il saggio governo della Banca d'Italia, vi fu un opportuno riordino economico, anche grazie allo sconto di cambiali che diedero un contributo essenziale al finanziamento della produzione e dell'investimento e aiutarono la lotta all'usura in modo sostanziale.
Ma chi poteva fruire di servizi bancari? Certamente quei cittadini che avevano qualcosa di più da risparmiare dal loro reddito, che sapessero leggere, scrivere e "far di conto". Questi requisiti stringevano enormemente il numero dei possibili clienti, inoltre gli sportelli erano quasi tutti insediati nei grossi centri urbani. L'analfabetismo in Italia era ancora dilagante anche in città e soprattutto tra il proletariato: al sud un cittadino su tre era analfabeta, al nord uno su cinque.
I denari bastavano a malapena per il desinare, e semmai fosse avanzato qualcosa, la zuccheriera in cucina fungeva egregiamente allo scopo.
In campagna poi, l'uso della moneta era ancora in gran parte sconosciuto e spessissimo si ricorreva al baratto. La famiglia rurale provvedeva quasi del tutto a se stessa: latte, uova, pollame, ortaggi e frutta, ma anche le stoffe erano cardate e tagliate in casa. Per le calzature, fossero esse chiamate zoccoli, sgalmare o cioce a seconda della latitudine, un ciocco di legno era più che sufficiente. Per il resto provvedeva alla bisogna la "cassa peota" gestita dal parroco del paese. La vera ricchezza, soprattutto in campagna erano le braccia, e questo si evince anche dalle lettere che i poveri soldati mandavano a casa durante il primo conflitto mondiale. Moltissime diserzioni si sono avute perché i militi cercavano di tornare a casa per aiutare il vecchio padre nel raccolto o aiutare la vacca a sgravarsi. Si capisce dunque come mai eravamo in Europa tra gli ultimi posti come libretti di deposito e conti correnti bancari.
Al contrario, per la ricca borghesia sia rurale che urbana, l'avvento della Banca d'Italia e la formazione di moderne "Banche miste" diedero l'impulso ad una grande prosperità, malgrado i benefici persi con la nuova politica giolittiana.
Anzi, proprio grazie al Giolitti, una parte sempre più grande della borghesia liberale intuisce che il progresso non si misura più solo con il metro del proprio profitto, ma anche con il numero di ospedali, con le scuole, con le pensioni e con altre forme di previdenza sociale. Non era più il liberalismo puro del "lasciar fare, lasciar passare", per il quale lo Stato è una noia necessaria che "meno faceva e meglio era"; si cominciava ad ammettere che lo Stato doveva intervenire per liberare i suoi cittadini da ogni non necessaria sofferenza, che desse ad ogni uomo la base necessaria per edificare la propria fortuna e, tra i borghesi più illuminati, si cominciava a concretizzare l'idea che un buon salario era anche un buon investimento di capitale.
Grazie alla modernizzazione del sistema bancario, grazie anche agli appelli al risparmio nazionale, si cominciarono a reperire i capitali con cui finanziare lo sviluppo industriale. In tal modo si vennero a creare anche in Italia quegli strettissimi rapporti tra banche ed imprese assolutamente necessari per lo sviluppo industriale. Il settore nel quale i legami banche-imprese furono più rilevanti fu il settore siderurgico i cui impianti arrivarono almeno a coprire nel 1913 le possibilità di assorbimento del mercato nazionale.
L'economista Maffeo Pantaleoni annota nel 1914: "Non esiste paese in Europa che nell'ultimo decennio abbia dato, come il nostro, tanta prova di energia individuale nel progresso economico". Effettivamente, dati alla mano, tra il 1901 e il 1913 la produzione industriale aumentò addirittura dell' 87%, contro il 56 della media europea. Il commercio con l'estero poi, segnò una crescita del 118% ovvero addirittura il doppio dell'Inghilterra.

Con il traino dell'industria siderurgica, la nascita dell'industria elettrica e l'incredibile "esplosione" dell'industria ferroviaria , gli anni del primo decennio del XX secolo portarono dunque l'Italia a riagganciarsi al treno dell'economia europea.

Prima dell'età giolittiana le ferrovie in Italia erano quasi del tutto inesistenti, soprattutto al sud che, paradossalmente con la Napoli – Portici, ne aveva visto la nascita. Il fatto è che il Borbone in quei tredici chilometri non aveva visto la nascita del nuovo mezzo di trasporto del futuro, bensì un mero giocattolo personale per il divertimento suo e della sua corte. Centinaia di chilometri di ferrovia cominciarono a riempire il territorio della penisola da nord a sud e da est ad ovest. Più ferrovia significava maggior traffico di uomini, di idee, di merci e di capitali.

Certo, l'Italia con enormi sforzi stava rincorrendo e raggiungendo il treno economico europeo, ma con il suo analfabetismo cronico, il suo sistema bancario agli albori della modernità, la sua situazione politica, economica e sociale restava pur sempre il fanalino di coda... il primo conflitto mondiale era alle porte e qualcuno, a Sarajevo, stava già lucidando la pistola.

Alpino Bruno De Marco

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